Jury Chechi: l’invincibile tenacia del “Signore degli Anelli”

“Se ci credi fino in fondo, ogni obiettivo è realizzabile. Se ci credi fino in fondo, ogni sogno è realizzabile.” 

Jury Chechi

Grazie a cinque titoli mondiali consecutivi vinti dal 1993 al 1997 e una indimenticabile medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, Jury Chechi è diventato per tutti il “Signore degli anelli”. Successi incredibili ottenuti volteggiando a quasi tre metri d’altezza, con una eleganza e una forza che sembravano innate ma che in verità erano frutto di tanto impegno e dedizione negli allenamenti. Una carriera straordinaria segnata, ma anche esaltata, da gravissimi infortuni che in più di una occasione hanno costretto il ginnasta a ripartire da zero.

Pochi sanno, ad esempio, che la disciplina inizialmente attribuita a Jury Chechi, perché ritenuta più adatta alle sue caratteristiche fisiche, era il corpo libero. Tuttavia, dopo essersi trasferito da solo all’età di 14 anni in un centro sportivo specializzato di Varese e dopo otto anni di intenso allenamento per affrontare al meglio le Olimpiadi di Barcellona 1992, quando mancavano solo sei giorni alla competizione, Jury si ruppe il tendine d’Achille. Il sogno di una medaglia olimpica che lo aveva motivato per tutti quegli anni era svanito in un attimo e per l’atleta toscano, costretto a vedere i Giochi da semplice spettatore, fu un trauma profondo.

La disciplina degli anelli, che prevede soprattutto l’uso degli arti superiori, si rivelò quindi l’unica alternativa realmente percorribile. Per riconvertirsi come specialista degli anelli, il giovane Jury dovette sostenere sessioni di allenamento mirate a rafforzare la parte superiore del corpo, mediamente un’ora più lunghe rispetto alla routine degli altri atleti che avevano fin da piccoli scelto quella disciplina. Chechi, dapprima titubante, osservò ben presto che il duro lavoro stava dando i risultati sperati fino ad ottenere le prime vittorie. Negli anni seguenti iniziò per lui un dominio incontrastato, costellato di successi e medaglie fino al termine del ventesimo secolo.

Quando ormai stava vivendo la fase matura della sua carriera, ossia nel maggio del 2000, un secondo terribile infortunio lo colpì, questa volta secondo i medici in modo irreparabile. Durante un allenamento, infatti, si ruppe il tendine brachiale del bicipite sinistro e il professore che lo operò disse che non avrebbe mai più potuto competere a livello agonistico. Un responso che suonava come una condanna: chiudere definitivamente la carriera per un infortunio era inaccettabile per un campione come Jury che ha sempre voluto essere padrone del suo destino. Anziché abbattersi, trovando anche la forza in una promessa fatta al padre in gravi condizioni di salute, decise di provare a qualificarsi, a quasi 35 anni, alle Olimpiadi di Atene 2004. Una impresa a detta di tutti “folle”, ma proprio per questo incredibilmente sfidante.

A dispetto di ogni pronostico, Jury Chechi riuscì a qualificarsi per le Olimpiadi, ottenendo la possibilità di gareggiare con gli atleti più giovani e quotati di inizio millennio. Dimostrare di essere competitivo e poter chiudere la carriera ai Giochi Olimpici nonostante il braccio compromesso, per Chechi era già un enorme successo. La sua soddisfazione fu però maggiore di quanto potesse immaginare: la forza di volontà e il duro lavoro del campione gli fecero compiere una prestazione di livello tecnico altissimo tale da permettergli di vincere addirittura la medaglia di bronzo.

Un bronzo che, a detta di tutti i commentatori, valeva più dell’oro ricevuto ad Atlanta perché rappresentava la vittoria della determinazione sulle avversità apparentemente insormontabili della vita.

Il Museo della Resilienza espone una fotografia dedicata al museo personalmente da Jury Chechi e una coppia di anelli per ginnastica artistica in legno su cui il campione ha voluto apporre il suo autografo.

CURIOSITÀ

All’età di nove anni, Jury Chechi scrisse in un tema scolastico che da grande sarebbe diventato un campione olimpico. Fino a quel momento, però, aveva ottenuto solo scarsi risultati nel ciclismo, nel nuoto e nella pallacanestro. Pochi mesi dopo aver scritto quella frase, per puro caso, accompagnò la sorella agli allenamenti di ginnastica artistica e rimase letteralmente folgorato da quegli esercizi. Quando disse al padre di voler praticare la stessa attività della sorella, riscontrò nel genitore una iniziale perplessità: “Ma non è uno sport da femmine?”, chiese stupito suo padre. Comunque, vista la determinazione di Jury, suo papà acconsentì e la storia ha poi confermato che fu un’ottima decisione…

RINGRAZIAMENTI

Il Museo della Resilienza ringrazia sentitamente Jury Chechi per aver dedicato una sua fotografia al museo e per aver autografato la coppia di anelli per ginnastica artistica in legno, contribuendo ad arricchire la nostra collezione.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

search previous next tag category expand menu location phone mail time cart zoom edit close