“Il sostegno di mio padre alla mia indipendenza, dai giochi di bambina fino alla decisione di diventare giudice, mi ha instillato un senso di fiducia nelle mie capacità che non ho mai percepito consciamente ma che alla fine sono giunta a considerare come l’eredità più preziosa”
Shirin Ebadi
Shirin Ebadi era una ragazza iraniana con un grande sogno: diventare magistrata. Conseguita la laurea in legge e superato il concorso, nel 1969 divenne la prima donna giudice in Iran. Grazie alla sua grande preparazione e alla sua saggezza in pochi anni ottenne la prestigiosa carica di presidente di una sezione del tribunale di Teheran. Tuttavia la sua brillante carriera venne improvvisamente interrotta dai tumulti rivoluzionari del 1979, al termine dei quali Khomeini salì al potere imponendo un governo ispirato al fondamentalismo islamico. Shirin Ebadi fu costretta a dimettersi dal suo incarico e dopo diverse minacce, venne anche arrestata a causa delle sue critiche al regime.
Negli anni in cui imperava il detto “in Iran una donna vale come l’occhio strabico di un uomo” alle donne non solo vennero preclusi incarichi professionali ma si consolidarono anche gravissime discriminazioni nell’applicazione delle norme. Ad esempio, la testimonianza di una donna in un processo o il valore della sua vita in caso di risarcimento danni erano considerati di valore inferiore rispetto all’uomo. Shirin Ebadi non poteva accettare tutto questo e quindi lottò quotidianamente per strappare le sue connazionali dalle leggi oscurantiste di quel regime che, come Lei stessa ha avuto modo di dire, “mettevano indietro l’orologio di millequattrocento anni, tornando agli albori della diffusione dell’Islam quando lapidare le donne per adulterio e mozzare le mani ai ladri erano considerate condanne adeguate”.
Alla morte di Khomeini, nel 1989, le donne in Iran ripresero a lavorare e studiare, sebbene in un contesto sociale ed economico compromesso dalla della lunga guerra contro il vicino Iraq, terminata pochi mesi prima senza vincitori né vinti, per sfinimento dei contendenti. Per Shirin Ebadi fu possibile tornare a dedicarsi attivamente alla promozione dei diritti fondamentali nel suo Paese, in particolare di donne e bambini. Fondò una associazione per la difesa dell’infanzia e partecipò come avvocato di parte civile in diversi processi per violazione dei diritti umani, come quello dell’omicidio del dissidente Dariush Forouhar e di sua moglie per il quale vennero condannati alcuni agenti dei servizi segreti iraniani. Il suo impegno costante è stato quello di modificare le leggi in favore del genere femminile, restando però sempre nella cornice del rispetto per l’islam, sostenendo interpretazioni in armonia con i principi dell’uguaglianza e della democrazia.
Nel 2003 le venne riconosciuto il premio Nobel per la pace, tuttavia nel suo Paese rimase una figura “scomoda” per la sua opposizione al regime. Il governo iraniano riuscì a sottrarle tutto, anche la medaglia del Nobel ed asottoporre a tortura suo marito e una sua sorella. Oggi vive in esilio in una località segreta e continua a battersi per l’uguaglianza di genere in tutte le parti del mondo dove i diritti delle donne e dei bambini vengono quotidianamente calpestati.
Il Museo della Resilienza è orgoglioso di ospitare una copia del libro “Finché non saremo liberi – Iran la mia lotta per i diritti umani” autografata da Shirin Ebadi ed espressamente dedicata al Museo in occasione del suo intervento al Festival del Lavoro edizione 2019.
CURIOSITÀ
Shirin Ebadi, oltre ad essere stata la prima donna iraniana a diventare giudice detiene altri due importanti primati: è stata anche la prima donna iraniana e la prima musulmana nella storia a ricevere un premio Nobel.
