“Di una cosa ho paura: che nella nostra vita la paura possa prendere il posto dell’amore”
Svetlana Alexievich
Erano le ore 1:23 del 26 aprile 1986 quando nella centrale nucleare situata a Pripyat, vicino alla città di Chernobyl, si verificarono due violentissime deflagrazioni che spazzarono via gran parte del tetto della struttura. Nel cielo stellato si sprigionò immediatamente una enorme nube carica di particelle radioattive con effetti, in termini di contaminazione ambientale, 200 volte superiori a quelli di Hiroshima. Inoltre, nella centrale e in diverse zone attigue si svilupparono numerosi incendi che tramutarono il sito in unvero e proprio inferno. L’URSS nelle ore successive tentò di nascondere l’incidente ma poi, su pressione degli Stati confinanti allarmati dagli anomali livelli di radioattività registrati dalle loro stazioni di rilevamento, fu costretta a divulgare l’accaduto e ad intervenire inviando nella zona colpita oltre mille pullman per prelevare 350 mila persone dalla città e dintorni. Fu detto loro che sarebbe stato solo un allontanamento temporaneo di tre giorni ma in verità la popolazione non vi fece mai più ritorno.
I primi a farsi carico delle operazioni di emergenza,operando in condizioni al limite della sopravvivenza e ricevendo altissime dosi di radiazioni, furono1057 “Soccorritori”, principalmente lavoratori della centrale, medici locali, forze dell’ordine e pompieri. Ad essi fu affidato il compito di spegnere l’incendio e mettere in sicurezza il sito, impresa che richiese due settimane di estenuante lavoro.


Seguì poi la costruzione di una struttura di contenimento, chiamata sarcofago, che aveva lo scopo di ricoprire il reattore distrutto così da contenerne la radioattività. Alla realizzazione dell’opera, parteciparono complessivamente 600.000 “Liquidatori” tra i quali era presente un numero significativo di civili volontari.

L’impatto effettivo dell’esposizione alle elevatissime radiazioni sulla salute della popolazione locale, dei soccorritori e dei liquidatori, è tuttora motivo di studio e di confronto tra la comunità scientifica.
Tuttavia, si può certamente affermare che il disastro di Chernobyl abbia influenzato notevolmente l’opinione pubblica internazionale riguardo la proliferazione delle armi nucleari e l’impiego di energia nucleare per fini civili, sostenendo il processo di autocritica e di riforma (perestrojka e glasnost) all’interno dell’Unione Sovietica avviato del Segretario generale del PCUS Mikhail Gorbachev, eletto l’anno precedente.
Il Museo della Resilienza espone diversi presidi militari URSS per affrontare uno scenario post-atomico, quali un poster d’epoca con le indicazioni per i soccorritori, un kit di analisi e segnalazione per zone contaminate (borsa, cartello, dosimetro DP50-A, matite, reagenti, torcia militare) e una maschera GP-5. Il Museo espone anche un esemplare della decorazione (medaglia e libretto) predisposta dall’URSS per i Liquidatori di Chernobyl.
CURIOSITÀ
Il livello di radioattività registrato attorno alla centrale dopo il disastro era così elevato da imporre ai primi soccorritori, chiamati a gettare sabbia, boro e grafite sopra il nucleo radioattivo, turni di soli 40 secondi, trascorsi i quali era obbligatorio ripiegare immediatamente per effettuare la decontaminazione. Si riteneva infatti che tempi di esposizione più estesi avrebbero comportato per gli operatori una dose letale di radiazioni.